Come molti parametri del marketing contemporaneo, anche la brand reputation ha una propria data di nascita. I marketer la fissano al 1982, quando su Fortune venne pubblicato il primo ranking sulle compagnie USA più ammirate. Oggi quell’elenco ha allargato i suoi orizzonti ed è stato ribattezzato The World’s most admired companies, calamitando l’attenzione del marketing a ogni latitudine. In collaborazione con il Korn Ferry Institute, la classifica è stilata attraverso sondaggi indirizzati a top executives, direttori e analisti finanziari. Ecco perché, insieme a quello del Reputation Institute, si tratta del reputation ranking più rinomato al mondo.
Una definizione multidimensionale
In quattro decenni gli esperti non hanno ancora confezionato una definizione univoca di brand reputation. Tra i più recenti tentativi, segnaliamo il libro La reputazione aziendale di Corradini e Nardelli, in cui la corporate reputation viene rappresentata come un costrutto multidimensionale.
Tale concetto racchiude percezioni, aspettative, valutazioni, la fiducia dei consumer verso il brand, la sua storia, le PR, la comunicazione, le condotte aziendali e le interazioni con gli stakeholder. In sintesi, la brand reputation è (o sarebbe) una rappresentazione socialmente elaborata e condivisa della storia e dei risultati di un’azienda. Proprio qui emerge la differenza tra brand reputation e brand image: la seconda è infatti sviluppata e definita strategicamente dall’azienda.
Le 7 dimensioni della brand reputation
Come si misura però la brand reputation? Nel 2017 il Reputation Institute ha sviluppato il RepTrak. Ogni classificazione prende spunto da 7 dimensioni che contribuiscono alla corporate reputation:
- performance dell’azienda;
- prodotti e servizi, con il rispetto o il superamento delle aspettative dei consumer;
- innovazione e capacità di evoluzione;
- corporate culture e ambiente di lavoro;
- leadership, con manager appealing e una chiara visione del futuro;
- governance, in termini di etica e trasparenza;
- citizenship, ossia la responsabilità sociale, il rispetto dell’ambiente e il supporto a cause di rilevanza sociale.
La fiducia vince sempre
La fiducia dei consumatori è dunque il centro di gravità attorno a cui ruota l’intera brand reputation. Lo afferma anche l’indagine dell’Edelman Trust Barometer, condotta nel 2021. L’88% dei consumer ritiene determinante la fiducia in una marca per i suoi acquisti. E il 57% sarebbe perfino disposto a spendere di più pur di acquistare prodotti di un’azienda di cui si fida: in altre parole, la fiducia rappresenta un punto di forza strategico per la brand loyalty se si pensa che il 61% del campione consiglia anche sui social media i brand che considera affidabili.
Il report Edelman valida anche i parametri del RepTrack. Ad esempio, l’86% degli intervistati si aspetta dai brand azioni che esulino dal mero business. Tra queste si annoverano il supporto economico a esigenze sociali, il supporto alle comunità locali e la promozione dell’inclusione e della tolleranza culturale. Per non inficiare la brand reputation, risultano inoltre rilevanti il pagamento delle tasse, le azioni di contrasto al cambiamento climatico o all’inquinamento e la lotta alla povertà.
Le business area di Sercom
Come possono reagire i brand se il 78% dei consumatori (dati Edelman) è convinto di avere un peso nelle scelte dei brand? Semplicemente (si fa per dire) elaborando le proprie strategie di mercato rispettando i bisogni percepiti dai clienti. E, per essere efficaci, uno degli approcci scientificamente più evoluti è il neuromarketing.
Sercom ne fa uso per soddisfare oltre 5.000 brand impegnati in attività di PTO. Con i suoi neurogadget, Sercom intercetta le esigenze dei target offrendo una customer journey multisensoriale.
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