Il neuromarketing è ormai una materia di studio – e di applicazione – che riscuote attenzioni a ogni latitudine. Si può perfino dire che sia uno dei protagonisti indiscussi del mercato del XXI secolo. In un recente articolo sul neuromarketing, Forbes ha provato a sintetizzare così il suo campo di applicazione: «Il comportamento – in particolare, quello dei clienti – si fonda sulle emozioni. La lunghezza e la qualità della relazione tra brand e clienti sono influenzate dal tipo di esperienza emozionale che essi vivono». Un’esperienza che può essere mono o multisensoriale: visuale, auditiva, cinestetica, ecc.
La chimica del neuromarketing
Sì, il neuromarketing è anche una questione di chimica. Ogni attività recepita come positiva stimola il cervello, favorendo il rilascio di serotonina, dopamina e ossitocina nel sistema nervoso. Il risultato è un generale senso di calma e benessere, che aumenta l’attenzione e la ricettività fino a elevare un prospect a cliente fidelizzato.
Le attività di ricerca fisico-comportamentale sono sempre più richieste, nel tentativo delle aziende di definire approcci che si rivolgano al cliente con maggiore efficacia. A tal riguardo si possono citare l’Emotion Response Analysis (ERA), elettroencefalogrammi (EEG) o pupillometrie, test di associazione implicita, eye tracking e perfino risonanze magnetiche funzionali (fMRI).
Esempi di neuromarketing visuale
Uno dei casi più celebri tra i neuromarketer è senza dubbio quello che ha coinvolto Frito-Lay. Per spiegare la notevole differenza quantitativa tra la clientela maschile e quella femminile, nel 2009 l’azienda si affidò al neuromarketing. Vennero quindi evidenziate motivazioni preziose: la conformazione anatomica del cervello femminile consente l’elaborazione di messaggi pubblicitari più complessi, pur venendo stimolato maggiormente dall’identificazione con influencer. Al contempo, il senso di colpa nell’acquisto del prodotto era esaltato anche dai colori e dal layout del packaging.
Il brand rispose con nuovi imballaggi meno impattanti e con la campagna di comunicazione “Only in a Woman’s World”, arricchita da una web-serie con un cast di ambassador femminili. In sei mesi, il piano di PR ottenne oltre 195 milioni di impression positive, le vendite aumentarono oltre le aspettative e la presenza delle donne nei reparti monitorati di snack crebbe dell’1,8%.
Marketing in tutti i sensi
Il neuromarketing è stato messo alla prova anche attraverso gli altri sensi. Si pensi all’esperienza tattile che ogni utente affronta in un negozio di tecnologia. Tra i precursori troviamo Apple, uno dei primi brand a intuire la chance di aumentare la customer loyalty e satisfaction tramite un’esperienza tattile, disegnando Apple Store ad hoc per questo scopo.
Altri brand hanno invece puntato sull’olfatto, uno dei sensi più potenti nell’attivazione cerebrale. Nell’elenco spicca Cinnabon. L’azienda di bakery ha strutturato i suoi negozi per posizionare i forni vicino all’ingresso e catturare i clienti con l’odore di roll di cannella in cottura: un profumo che crea un forte impatto emozionale, con una subconscia sensazione di armonia e casa.
C’è pure chi ha approfondito i cambiamenti decisionali dovuti all’udito. Proprio come nella sezione vini francesi e tedeschi dei negozi di Fan Mallorca Shopping – brand spagnolo –, dove tale connessione si evidenziò maggiormente. Nel 2006 una ricerca sottolineò che il 77% del vino venduto era francese quando negli altoparlanti risuonava musica francofona; al contrario, la percentuale di vino tedesco nelle vendite saliva al 73% quando veniva trasmessa una playlist tedesca. E il 95% dei clienti dichiarò di non aver nemmeno notato il tipo di musica in sottofondo.
E poi c’è il neuromarketing applicato alla PTO
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